CONTRATTO DI LAVORO: ” fusse che fusse la vorta bbona?..”

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Nino Manfredi nel film: “operazione San Gennaro”

La richiesta dei sindacati di riavviare le trattative per il rinnovo del nostro contratto nazionale di lavoro ci hanno immediatamente riportato alla mente Nino Manfredi, uno dei più grandi interpreti della commedia all’Italiana.

Perchè è forte la sensazione che proprio di questo possa trattarsi: ovvero di una tipica, usuale e per nulla inedita e per questo anche un pò frustrante commedia all’italiana.  Speriamo di sbagliarci, ma, prevedendo però lo sdegno – certo comprensibile, ma non per questo condivisibile – che inevitabilmente verrà espresso, condito da durissime dichiarazioni e parole di censura, vediamo di motivare perchè in noi si agiti un inquieto e preoccupato sentire sul proseguio della vicenda in oggetto.

Oltre quattro anni fa, al tavolo di rinnovo contrattuale abbiamo con chiarezza affermato che, a nostro giudizio, le vecchie formule di contrattazione erano superate e non corrispondevano più né alle realtà commerciali e produttive (in continua evoluzione) né, tanto meno, alle necessità delle nostre imprese.

Abbiamo più volte ribadito con forza che non si poteva continuare a parlare di soldi e orari senza tenere conto che era necessario tenere conto delle differenze territoriali (affitti, costo del trasporto e dei servizi variano in misura determinante non solo tra nord, centro, sud e isole a livello nazionale ma spesso anche nell’ambito della stessa regione con zone fortemente sviluppate  ed altre in crisi perenne) determinando così variazioni significative sia nei prezzi al consumo che al costo della vita.  Abbiamo infine messo in evidenza in modo chiaro e concreto come i risultati aziendali dipendano in parte importante dalla qualità della prestazione del lavoro individuale: commesse annoiate e lavoratori approssimativi nell’esecuzione del proprio lavoro possono fare la differenza tra un’azienda che fa utili e quella che rischia la chiusura.  L’avevamo chiamata “valutazione della performance individuale” e il NIET dei sindacati è stato chiaro: della qualità del lavoro non si discute, il lavoratore non si valuta, si paga e non si tocca.

Dumbo, l’elefantino volante

Per altro verso, in questa nuova tornata contrattuale, i sindacati hanno presentato una piattaforma che poggiava su premesse già allora completamente avulse da qualunque realtà oggettiva economica generale e del settore in particolare: un mondo rosa dove gli elefanti volano in cui ai lavoratori bisogna dare più diritti e, naturalmente, più soldi.  Una discussione andata avanti stancamente ed in modo inconcludente, insomma un dialogo tra sordi. Del resto, il sospetto che parte delle richieste (premesse comprese) non fossero altro che un discreto copia incolla (con qualche piccolo aggiustamento di maniera…) di cose già presenti o recentemente portate su tavoli di altri contratti lo avevamo avuto sin dall’inizio. Era – e rimane – forte la sensazione che si volessero perseguire obiettivi che alla categoria (paradossalmente anche ai lavoratori stessi, quelli veri…) oggettivamente o non interessavano o, peggio, potessero portare nocumento. Ma poiché noialtri crediamo fermamente all’autonomia in tutti i sensi e, per quanto riguarda il rinnovo contrattuale, all’autonomia del nostro tavolo negoziale, ciò che si fa, si chiede (e si concede….) in altri contratti almeno a noialtri, poco importa poiché poco ci interesse e sicuramente non ci condiziona. Del resto, si sa,noi fornai siamo gente strana…

Ma, tornando ai giorni nostri, se le questioni che da tempo abbiamo posto erano fino a dicembre soprattutto argomenti di discussione e confronto da concretizzare nel medio lungo termine, oggi, con la crisi in atto per il coronavirus, diventano necessità vitali per la sopravvivenza delle nostre imprese.

In questi mesi abbiamo avanzato proposte di intervento immediato contrattuale per consentire alle nostre aziende di affrontare e superare questo terribile periodo di emergenza, per salvare imprese e con loro i posti di lavoro.  Le risposte sprezzanti che abbiamo ricevuto dai sindacati ci hanno fatto capire che nulla per loro cambia, e che le parole d’ordine sopravvivono a qualunque virus. Non ce ne eravamo accorti, ma anche se siamo nel 2020 è ancora la lotta di classe a dettare le regole, con l’imprenditore che è e rimane il padre padrone sfruttatore dell’operaio che tutti i giorni soccombe sotto il suo giogo.

Eppure, con la nostra lettera aperta di marzo, ci sembrava di essere stati chiari:

spetta a tutti, imprenditori e lavoratori, assumere in piena responsabilità iniziative e decisioni forti, coraggiose, e se occorre anche tali da rompere tabù consolidati che oggi però potrebbero segnare la fine delle nostre imprese e la perdita di un numero impressionante di posti di lavoro.”

E, andando oltre le enunciazioni di principio, avevamo formulato precise proposte, con la precisazione di essere aperti anche ad altre soluzioni:

sospendere le maggiorazioni per lavoro notturno e per lavoro supplementare quantomeno per il periodo di epidemia conclamata, tenuto conto dell’effettiva necessità di ricorrere a turnazioni nel lavoro che possono comportare maggiori oneri per le imprese ad esempio con più ore notturne perchè il lavoro viene diluito su periodi più lunghi per limitare al massimo i momenti di lavoro contestuali di più persone negli stessi ambienti, si potrebbero temporaneamente;

  • ridurre del  20% le retribuzioni per tutte le qualifiche per i mesi di crisi;
  • Dare indicazioni agli Enti Bilaterali di utilizzare, nella misura possibile,  il fondo straordinario emergenze costituito a favore di tutti i panificatori italiani che lo richiedano e
  • per tutte le imprese in regola con la contribuzione utilizzare, sempre per quanto possibile il Fondo Scopi Statutari di Ebipan.

Abbiamo esagerato?

A sentire le loro risposte sprezzanti e beffarde, infarcite di vecchie parole d’ordine sembrerebbe proprio di sì, e ciò nonostante avessimo precisato di essere aperti anche ad altre possibili soluzioni:

la “ricetta” che Lei propone, di ridurre salario e diritti, è da rimandare assolutamente al mittente e, ancora, riduzione dei diritti dei lavoratori “, necessità del giusto rinnovo già, il rinnovo….

Non ripeteremo qui le nostre considerazioni a proposito di quella “non risposta”, chè di questo si tratta: il che rende ancor più complicato quel riavvio di trattativa che oggi viene richiesto.

Ma il “giusto rinnovo” che oggi si invoca basato su che cosa è basato ? si vuole Il solito aumento che sembra sia sempre e perennemente dovuto? O è basato sull’impossibilità a licenziare che le organizzazioni sindacali hanno strappato (direi fin troppo facilmente…) a questo strano Governo, divieto  che pare verrà nuovamente prorogato fino a dicembre, e chi se ne frega se intanto le imprese rischieranno di chiudere…

O forse servirà a ribadire anche nel contratto che nella sicurezza sui luoghi di lavoro l’infezione da COVID 19  è giustamente da inserire tra gli infortuni – anche se in itinere – e sottolineare come sia altrettanto giusto e sacrosanto che l’imprenditore rischi di finire in tribunale come ha sostenuto pubblicamente la CGIL? Parleremo di tutto questo nel “giusto rinnovo” che loro auspicano?

La paradossale vicenda della maestra di Prato, messa sotto accusa dai sindacati perché di propria iniziativa porta i bambini a fare lezione all’aperto, la dice lunga sull’apertura al nuovo, sull’evitare qualunque possibile valorizzazione della capacità e voglia di far bene il proprio lavoro del singolo individuo che evidentemente fa paura a chi vuole una classe operaia tutta uguale, senza differenze, assicurando sempre a tutti gli stessi diritti indipendentemente da come assolvono ai propri doveri.

E poi si pretende da noi di essere sempre pronti e disponibili a dare risposte senza che le nostre necessità abbiano diritto di trovare accoglienza ed attenzione. La difesa delle aziende che pagano stipendi e garantiscono posti di lavoro non ha diritto di cittadinanza in un mondo che ha perso di vista il vero valore del lavoro vissuto oramai, grazie a questi atteggiamenti, come una condanna dalla quale liberarsi al più presto.

Che i tempi siano cambiati è fuori discussione. Se negli anni del dopoguerra ciò che la gente chiedeva era pane e lavoro, oggi tocca constatare che non solo si schiva il pane perché fa ingrassare, ma si schiva per quanto possibile anche il lavoro ma, ovviamente, non certo lo stipendio. Esemplare, a questo riguardo, la vicenda dei navigator, ovvero quei 3mila ex disoccupati (stipendio lordo annuale 27mila euro circa) che avrebbero dovuto a loro volta trovare lavoro a a chi percepisce il reddito di cittadinanza e che da un anno sono praticamente stipendiati per stare a casa. Risultato: una montagna di soldi buttati, tra reddito di cittadinanza e navigator. E, personalmente, non ho mai sentito un sindacalista dire che è uno scandalo e che quei soldi potevano essere usati un po’ meglio.

Ma, dopo le risposte sprezzanti dei mesi scorsi, la novità oggi è che i sindacati vogliono far ripartire il nostro tavolo contrattuale.

Già, ricominciare le trattative, ma, ripetiamo, su quali basi? Le loro vecchie richieste, oramai ovviamente spazzate via dal COVID,  sono state messe da parte? O continuiamo come prima, come se nulla fosse accaduto in questi mesi, con un PIL nazionale crollato e un debito pubblico alle stelle?

Carlo Bonomi, presidente di Confindustria

E che le cose non possano continuare con questo andazzo lo dice oggi anche il nuovo presidente di confindustria Carlo Bonomi: “è oramai indispensabile   una ridefinizione del lavoro a partire dai prossimi rinnovi contrattuali. I quali, spiega il leader degli industriali in una lettera al Messaggero, «non possono essere affrontati col vecchio meccanismo dello scambio tra salario e orario. Nei contratti dobbiamo, tutti insieme, realizzare una vera e propria ridefinizione del lavoro, guardando alle filiere e alle aziende. Non considerando solo turni e orari e retribuzioni nazionali, ma obiettivi incentivati di produttività e innalzamento del capitale umano, diritti alla formazione permanente, al welfare sussidiario e alla conciliazione dei tempi di lavoro con la cura parentale».

 Dichiarazioni da condividere che assomigliano curiosamente per molti versi a ciò che questa Federazione propone, inascoltata, da anni . Ora che scende in campo Confindustria qualcosa potrebbe veramente cambiare? E, dunque Fusse che fusse la vorta bbona?..