nota INAIL e denuncia COVID: “tutto va ben, madama la marchesa…”

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Si riporta di seguito la nota ufficiale emessa in data 5 maggio dall’INAIL  relativamente alla nota questione se la denuncia di infortunio relativa ad accertamento di infezione COVID sul posto di lavoro comporti possibile automatica  denuncia di colpa o dolo dell’impresa. Qui il testo dell’INAIL.

L’infortunio sul lavoro per Covid-19 non è collegato alla responsabilità penale e civile del datore di lavoro

Il datore di lavoro risponde penalmente e civilmente delle infezioni di origine professionale solo se viene accertata la propria responsabilità per dolo o per colpa

ROMA – In riferimento al dibattito in corso sui profili di responsabilità civile e penale del datore di lavoro per le infezioni da Covid-19 dei lavoratori per motivi professionali, è utile precisare che dal riconoscimento come infortunio sul lavoro non discende automaticamente l’accertamento della responsabilità civile o penale in capo al datore di lavoro.

Sono diversi i presupposti per l’erogazione di un indennizzo Inail per la tutela relativa agli infortuni sul lavoro e quelli per il riconoscimento della responsabilità civile e penale del datore di lavoro che non abbia rispettato le norme a tutela della salute e sicurezza sul lavoro. Queste responsabilità devono essere rigorosamente accertate, attraverso la prova del dolo o della colpa del datore di lavoro, con criteri totalmente diversi da quelli previsti per il riconoscimento del diritto alle prestazioni assicurative Inail.

Pertanto, il riconoscimento dell’infortunio da parte dell’Istituto non assume alcun rilievo per sostenere l’accusa in sede penale, considerata la vigenza in tale ambito del principio di presunzione di innocenza nonché dell’onere della prova a carico del pubblico ministero. E neanche in sede civile il riconoscimento della tutela infortunistica rileva ai fini del riconoscimento della responsabilità civile del datore di lavoro, tenuto conto che è sempre necessario l’accertamento della colpa di quest’ultimo per aver causato l’evento dannoso.

Al riguardo, si deve ritenere che la molteplicità delle modalità del contagio e la mutevolezza delle prescrizioni da adottare sui luoghi di lavoro, oggetto di continuo aggiornamento da parte delle autorità in relazione all’andamento epidemiologico, rendano peraltro estremamente difficile la configurabilità della responsabilità civile e penale dei datori di lavoro.

Si noti come quanto sopra, nell’ultima parte, evidenzi chiaramente che anche se il contagio non sia percepito (nel nostro caso ad esempio l’asintomatico) o non possa essere provato dal lavoratore, si PUO’ COMUNQUE DESUMERE CHE LO STESSO SI SIA VERIFICATO IN CONSIDERAZIONE DELLE MANSIONI/LAVORAZIONI E DI OGNI ALTRO INDIZIO CHE IN TAL SENSO DEPONGA. 

Con nota al piede del documento, la citata istruzione operativa di cui sopra si rifà alla circolare INAIL del 1995 relativa alle modalità di trattazione delle malattie infettive che prevedono quanto segue:

In conclusione, a meno che non si dimostri che il lavoratore si è beccato l’infezione dal cane o da qualcun altro in famiglia, il contagio ha cause attribuibili al suo lavoro. Con tutto ciò che questo comporta per l’impresa. 

A questo punto torniamo di nuovo alla NOTA 5 MAGGIO DELL’INAIL integralmente pubblicata  in apertura di questo post la quale sottolinea con chiarezza che

ll datore di lavoro risponde penalmente e civilmente delle infezioni di origine professionale solo se viene accertata la propria responsabilità per dolo o per colpa.

e correttamente la nota chiude con una frase che ci permettiamo di considerare quantomeno dubitativa:

rendano peraltro estremamente difficile la configurabilità della responsabilità civile e penale dei datori di lavoro 

E poichè difficile non vuol dire esclusa, alla luce di quanto sopra, siamo certi che possiamo lavorare tranquilli o ci dobbiamo preoccupare? a chi ci legge la risposta…