CORONAVIRUS E RISCHI AZIENDALI : Lettera alla redazione

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Abbiamo ricevuto, e volentieri pubblichiamo, una lettera accorata e approfondita di Simone Pieragostini, segretario dell’Associazione Panificatori di Ascoli Piceno e Fermo e Componente della Commissione Nazionale di Indirizzo della Federazione Italiana Panificatori, nella quale riprende, con toni molto preoccupati, l’articolo  l’Italia apre tra paure e speranze  che abbiamo pubblicato nella sezione FORUM di questo sito  ( dedicata per l’appunto a lettere, opinioni e questioni generali di rilievo per la categoria che trattava delle incognite e dei rischi connessi a possibili conseguenze sanitarie di cui fossero, anche in futuro, oggetto i collaboratori delle nostre imprese. 

Ecco la lettera di Pieragostini.

 

Ho appena letto l’articolo  su www.fippa,it/forum che riguarda i protocolli di sicurezza sanitaria e i possibili contagi da coronavirus in azienda. Devo dirle che la questione covid/infortunio sul lavoro nelle nostre aziende di panificazione mi preoccupa molto. Nel decreto Curaitalia si prevede che l’eventuale contagio da Covid 19 del lavoratore durante l’attività lavorativa venga considerato come infortunio sul lavoro. La circolare 13/20 del 3 aprile scorso dell’Inail ha precisato che in questa fattispecie opera una presunzione legale di origine, in altre parole una responsabilità oggettiva del datore di lavoro, che si libera solo provando di aver posto in essere tutte le prescrizioni anti contagio e ulteriormente di aver fatto tutto il possibile per evitare l’infortunio.

Chiaramente la definizione, dettata dal decreto, del contagio come “infortunio” rischia di provocare delle ripercussioni molto gravi sull’attività e sulla stessa permanenza sul mercato di aziende di piccole dimensioni, che potrebbero andare incontro ad ingenti richieste di risarcimento per aver provocato il contagio e quindi l’infortunio, oltre che a responsabilità anche di tipo penale.

 

Nel caso in cui un lavoratore risulti positivo al virus l’impresa si libererebbe da responsabilità solo dimostrando che il contagio è avvenuto fuori dal luogo di lavoro, ma come dimostrare dove è avvenuto il contagio? Il datore di lavoro riuscirà a dimostrare di aver applicato tutti i protocolli di sicurezza per garantire la sicurezza del proprio dipendente, che comunque potrebbe essersi contagiato al di fuori del posto di lavoro?

Risalire al luogo e al momento del contagio è difficilissimo. Secondo il Ministero della Sanità  il periodo che intercorre tra contagio e sviluppo dei sintomi varia da 2 a 11 giorni, fino a un massimo di 14; a volte i sintomi non compaiono ma si è comunque contagiosi e dagli ultimi studi epidemiologici risulta che il maggior numero di contagi è avvenuto in casa tra familiari. Fornire una tale prova può diventare molto arduo ed anche molto oneroso dal punto di vista finanziario per l’azienda (perizie, consulenze ecc), è un onere che un piccolo imprenditore non è in grado di assumersi.

Inoltre il decreto Curaitalia non esclude che l’Istituto possa, dopo aver liquidato l’infortunio, rivalersi sul datore di lavoro (è la c.d. rivalsa Inail) nel caso in cui  sia dimostrato che il suo comportamento ha causato l’evento, o meglio, che non è riuscito a dimostrare il contrario. A fronte di ciò viene previsto che questo tipo di infortunio sul lavoro non venga incluso nella determinazione dell’oscillazione del tasso medio per andamento infortunistico.

Credo che dovremmo analizzare attentamente queste problematiche e attivarci presso le istituzioni perchè recepiscano le nostre richieste, e colgo l’occasione per chiedere ai nostri colleghi delle Associazioni provinciali aderenti alla Federazione Italiana Panificatori la loro opinione su questo argomento.

Grazie e buon lavoro.

Simone Pieragostini, segretario Associazione Panificatori Ascoli Piceno e Fermo,

Componente della Commissione Nazionale di Indirizzo della Federazione Italiana Panificatori