Nato con una larghissima maggioranza, il nuovo Governo, secondo le premesse enunciate dal nuovo Presidente del Consiglio Mario Draghi, le poche risorse disponibili andranno solamente alle imprese innovative o che sapranno rinnovarsi in modo radicale : innovazione,digitalizzazione, ambiente, le parole d’ordine per il rilancio economico e sociale del paese
PAROLA D’ORDINE: CAMBIAMENTO RADICALE
Con il voto di fiducia che gli è stata attribuita dai due rami del Parlamento, il Governo Draghi ha avviato il suo cammino. Indipendentemente dalla fiducia e anche dalle difficoltà che incontrerà sulla sua strada, è destinato comunque a segnare uno spartiacque nella politica, nell’economia e nella società italiane.
Non diamo qui valutazioni di ordine politico, ma solo tentare di analizzare lucidamente che cosa le nostre imprese abbiano davanti nell’immediato futuro e nel medio – lungo periodo.
Troppo spesso, relativamente al nostro lavoro, tendiamo a pensare che i grandi temi ci tocchino marginalmente e a sottovalutare l’impatto che possono avere per le nostre imprese: ma non sempre è così.
Il programma che il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha presentato alla Camera e al Senato, per quanto di contenuto anche politico, è stato soprattutto una rappresentazione chiara, precisa e concreta non solo di ciò che il Governo intende fare, ma di ciò che l’Italia comunque dovrà fare se vorrà avere una qualche speranza di uscire dalla terribile situazione nella quale si trova sia sanitariamente che dal punto di vista economico e sociale, tenuto conto del fatto che l’epidemia ha colpito un Paese già in forte crisi debitoria, tra i peggiori in Europa.
Il discorso del presidente Draghi segna una strada che l’Italia dovrà percorrere indipendentemente dalla durata di questo Governo, e non sarà certo una strada cosparsa di rose e fiori.
Nel 2020 hanno chiuso oltre 200mila autonomi hanno chiuso la propria attività, e nei prossimi mesi saranno ancora ancora molti altri a farlo; saranno decimati interi settori, e non sarà la lunga, spesso gloriosa storia di tradizioni e sapere artigiano a salvarli.
Lo abbiamo visto in passato per tanti mestieri che sono scomparsi nel giro di pochi decenni, e, per citare l’esempio più evidente, si pensi alle tante botteghe alimentari oramai divenute, salvo pochi casi, quasi una rarità nelle nostre strade cittadine. Si è trattato di un processo tutt’ora in corso ma che la pandemia ha accelerato in modo brutale. Il problema è che la zattera di salvataggio dei ristori alla quale tutti si aggrappano sta per affondare, tirata a fondo dal crescente debito pubblico che è “debito buono“ quando salva imprese che superata la crisi epidemica, hanno un futuro ma diventa “debito cattivo“ quando viene speso per attività o settori che non hanno una prospettiva se non di crescita quantomeno di sopravvivenza grazie ai propri mezzi e non per assistenzialismo di Stato.
E tutto questo Draghi lo ha detto con estrema chiarezza:
“sarebbe un errore proteggere indifferentemente tutte le attività economiche. Alcune dovranno cambiare, anche radicalmente. E la scelta di quali attività proteggere e quali accompagnare nel cambiamento è il difficile compito che la politica economica dovrà affrontare nei prossimi mesi.”
Quindi, partendo dall’ovvia considerazione che siamo un settore economicamente maturo e, non nascondiamocelo, a rischio, la condizione essenziale per rientrare tra le attività che saranno scelte tra quelle meritevoli di “protezione ed accompagnamento” sarà dimostrare che siamo non soltanto disponibili a un “cambiamento radicale” non solo a parole e con dichiarazioni di principio, ma anche che siamo in grado di metterlo in atto e portarlo a termine. Ma come tutto questo dovrà avvenire è ancora Draghi a definirlo:
“il Programma nazionale di Ripresa e Resilienza (Recovery Plan) indicherà obiettivi per il prossimo decennio e più a lungo termine, con una tappa intermedia per l’anno finale del Next Generation EU, il 2026.
Non basterà – continua Draghi – elencare progetti che si vogliono completare nei prossimi anni. Dovremo dire dove vogliamo arrivare nel 2026 e a cosa puntiamo per il 2030 e il 2050, anno in cui l’Unione Europea intende arrivare a zero emissioni nette di CO2 e gas clima-alteranti.
Selezioneremo progetti e iniziative coerenti con gli obiettivi strategici del Programma, prestando grande attenzione alla loro fattibilità nell’arco dei sei anni del programma. Assicureremo inoltre che l’impulso occupazionale del Programma sia sufficientemente elevato in ciascuno dei sei anni, compreso il 2021.”
Si tratta dunque di un processo che non ammetterà tempi lunghi ma dovrà partire subito e dare fin d’ora segnali concreti di quel “cambiamento radicale” che ci viene richiesto.
Per realizzare questo cambiamento Draghi, pragmaticamente, indica quali risorse sono a disposizione (Recovery Plan e il piano Next Generation Youth finalizzato a dare un futuro sostenibile ai giovani) e per quali finalità dovranno essere impiegate: “proteggere il futuro dell’ambiente, conciliandolo con il progresso e il benessere sociale “, dunque ambiente sano, economia sana, che garantiscano welfare e posti di lavoro.
Dunque, il cambiamento dovrà non solo essere radicale ma anche orientato al rispetto ambientale (Green Recovery Plan), all’economia circolare mettendo in atto formazione, investimenti per l’innovazione e tali da creare le condizioni per un benessere sociale e piena occupazione ma anche all’innovazione e al benessere sociale il cui primo elemento è necessariamente l’occupazione, con particolare riguardo a quella giovanile.
Per raggiungere questi obiettivi bisognerà abbandonare molte certezze consolidate e percorrere nuove strade: saranno “digitalizzazione, agricoltura, salute, energia, aerospazio, cloud computing, scuole ed educazione, protezione dei territori, biodiversità, riscaldamento globale ed effetto serra, sono diverse facce di una sfida poliedrica che vede al centro l’ecosistema in cui si svilupperanno tutte le azioni umane.”
Sarà all’interno di queste priorità che la panificazione artigianale italiana dovrà essere in grado di individuare il proprio modello di “cambiamento radicale”, e dovrà farlo subito, se vuole avere un futuro ma soprattutto se i panificatori italiani vogliono trasmettere ai propri figli, alle nuove generazioni, delle imprese che non siano destinate alla marginalità e a una rapida morte.
Il confronto che si sta giocando sia con l’industria della panificazione e dei prodotti da forno che con la Grande Distribuzione ci vede ogni giorno più distanziati in termini di innovazione, tecnologia e competenze sia dei titolari che degli addetti. La qualificazione professionale dei nostri operatori è ancora legata alle ricette e a qualche approfondimento basato più sulle esperienze di bottega che su solide conoscenze tecnologiche dei processi. La digitalizzazione, l’industria 4.0, l’informatica e la trasformazione in aziende green che ci viene richiesta non domani ma già oggi sono concetti ancora teorici. La formazione continua riguarda solo quella obbligatoria della sicurezza e dell’igiene, ma quella tecnologica è di fatto inesistente. Oggi l’approccio al rispetto ambientale è limitato agli obblighi di legge quali registri rifiuti, controllo dei fumi e olii esausti, ma il contenimento energetico, l’impresa “green rispettosa dell’ambiente è altro e altra cosa.
IL “Cambiamento radicale” non è solo cambiare piastrelle, arredamento e qualche macchina: è prima di tutto cambiamento organizzativo, strutturale, formativo ma soprattutto mentale.
Certo, si tratta di una sfida immane, da far tremare i polsi. E forse la ricostruzione del dopoguerra, in un paese affamato nel quale ciò che serviva era pane e lavoro, è stata dura ma relativamente facile per le nostre imprese. Ciò che dobbiamo fare oggi è molto più complesso e tocca ai panificatori, a ogni singolo fornaio, mettere in concretamente in atto nella propria azienda quel “cambiamento radicale” che ci viene richiesto. E tocca alla Federazione guidarlo creandone i presupposti e le condizioni necessarie per la sia realizzazione, strutturandola nei rapporti istituzionali, e definendo con chiarezza il quadro operativo all’interno del quale essa può essere concretamente avviata.
La categoria dovrà decidere se e come l’innovazione del settore sia percorribile portando nelle nostre imprese formazione non solo di base ma anche di alto livello, facendo proprie le nuove tecnologie sia negli impianti che nell’organizzazione del lavoro, orientando le aziende all’implementazione tecnologica aziendale, alla formazione continua, all’avvio di strutture formative nuove e diverse dai vecchi corsi nei quali le ricette la facevano in gran parte da protagonista.
non vi è alcun dubbio che il Contratto di lavoro ed Enti Bilaterali debbano avere un ruolo preciso e fondamentale nel creare le premesse perché i panificatori – siano essi titolari o lavoratori – possano ancora guardare con un minimo di serenità al domani delle proprie aziende e dei propri figli.
Il tempo a disposizione è davvero poco: non sprechiamolo.