
Da più di sei mesi stiamo convivendo- bene o male – con il COVID con fasi alterne che passano dall’ “andrà tutto bene” al pessimismo più nero relativamente ai possibili sviluppi futuri della pandemia.
Non sta qui, né sta a noi fare la cronaca di questi mesi o fare il punto sulla situazione sanitaria, né tantomeno azzardare previsioni : lo fanno già in troppi anche se, al momento, pare nessuno sia in grado di dare qualche certezza.
Ciò del quale invece, e purtroppo, siamo certi, è che l’emergenza sta sempre più assumendo i connotati di una nuova normalità con la quale dovremo molto probabilmente convivere ancora a lungo.
Preso atto di un tanto, anziché farci prendere dallo sconforto, cerchiamo di analizzare per quanto lucidamente le prospettive e la situazione nella quale si trovano, e si troveranno ancora per parecchi mesi, le nostre imprese tentando di destreggiarci tra prevenzione basata sul buonsenso, normativa d’emergenza che di buonsenso spesso è carente, burocrazia e rischi aziendali: tutti elementi che, sommati alla situazione economica nazionale che prima o poi saremo chiamati tutti a pagare, si combinano in una sorta di miscela esplosiva che pare fatta apposta per demoralizzarci e spingerci a mollare tutto.
Oltre ottocento provvedimenti legislativi (tra nazionali e regionali), regole non sempre dettate dal buonsenso ma troppo spesso dalla ricerca del consenso politico – sindacale ci costringono a lavorare in un contesto che se prima era complicato ora è demenziale.
Mentre i sindacati sembrano sguazzare nell’ambito di un Governo debole che appare incapace di fare a meno di loro (come dimostrano provvedimenti quali il blocco dei licenziamenti), anche le grandi confederazioni imprenditoriali sembrano essere in difficoltà costrette come sono a difendere a spada tratta interi settori per i quali invocano aiuti e finanziamenti pur sapendo che sono avviati ad un inevitabile, drastico ridimensionamento poiché il sostegno economico dello Stato non potrà durare a lungo e, venuto meno quello, migliaia di imprese saranno costrette a chiudere.
Unica voce che al momento sembra guardare realisticamente avanti non con richieste di soldi ma con proposte lucide e chiare è quella del nuovo presidente di Confindustria Bonomi che senza peli sulla lingua, non ha paura di dire pane al pane prendendo le distanze sia dalla ricerca di consenso del Governo per mezzo dell’elargizione a pioggia (più annunciata che realizzata…) sia dall’attuale sistema di relazioni sindacali che costringe l’economia italiana in una gabbia che, se fino a ieri ne limitava drasticamente la crescita, oggi ne mette seriamente a rischio la sopravvivenza stessa.
Sarebbe fin troppo semplice dire che da anni questa federazione chiede una sostanziale ridefinizione del metodo contrattuale. Così come sarebbe semplice buonsenso riconoscere che in aree con costo della vita diverso anche il costo del lavoro deve essere riproporzionato: per chi ne ha voglia vada a vedersi l’ottimo lavoro di analisi dei dati (Tito Boeri, Pietro Ichino, Enrico Moretti e Johanna Posh) intitolato “ wage equalization and regional misallocation: Evidence from italian and german provinces” (perequazione salariale e disallineamento regionale: i dati delle province italiane e di quelle tedesche). per chi volesse consultarlo, il link al documento originale è disponibile sul sito federale nella sezione: https://www.fippa.it/documenti/documenti-tematici/ nel quale si evidenzia le differenze degli indici di spesa e costo dell’ abitazione (che, in definitiva, dicono di quanto varia il costo della vita) non solo da regione a regione ma addirittura da provincia a provincia. Dunque le gabbie ci sono e non sono quelle salariali tanto care alla CGIL ma quelle in cui le attuali strutture contrattuali bloccano le imprese.
Noi lo sosteniamo da anni, e oggi lo dimostrano i dati.
A tale quadro, già di per sé desolante, si aggiunge l’incertezza dovuta alla pandemia.
Ciò che si prospetta per l’autunno è il timore che una qualunque forma di malessere anche modesta e magari solo influenzale costringa noi e i nostri collaboratori ad astenersi dal lavoro: e laddove si lavori fianco a fianco, ci costringa anche solo precauzionalmente, a sospendere del tutto l’attività aziendale. Ma per un panificio che lavora sul prodotto fresco quotidiano una chiusura prolungata può voler dire la fine dell’azienda, e tanto più, come avviene per molti, qualora parte dell’attività si basi sulle forniture esterne magari sulla base di contratti sottoscritti con Enti pubblici.
E’ del tutto evidente che a tali possibili situazioni, che potrebbero coinvolgere senza alcun preavviso qualunque nostra azienda, bisogna cercare di dare risposta concreta e immediata: lo deve fare la Federazione, attivandosi subito nelle sedi istituzionali nazionali (Ministeri della Salute, del Lavoro, delle Attività Produttive e Ministero dell’Economia) e intervenendo con decisione sui meccanismi contrattuali attuali che, come abbiamo visto, non sono più tali da poter consentire una gestione efficiente delle imprese.
Ma la Federazione lo deve fare prima di tutto, e subito, mettendo in campo azioni forti, immediate, decise nell’ambito degli Enti bilaterali dei quali è parte costituente, rappresentativa del 75% delle imprese ad essi associate e presente in modo importante negli organi di gestione; lo può e lo deve fare pretendendo che EBIPAN e FONSAP escano immediatamente dal torpore di questi mesi ed avviino iniziative a sostegno delle imprese ma e dei lavoratori che siano concrete, efficaci, reali ed immediate.
Sarà questo il banco di prova per capire se sono veramente utili alle nostre aziende.