MONOPATTINI E MASCHERINE: arriva l’ennesima fregatura

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BONUS SANIFICAZIONE: DAL 60% SIAMO FINITI A POCO PIU’ DEL 15%, che diventa circa il 9% di quanto realmente speso….

Chi avesse avuto il tempo, la voglia e, aggiungiamo, la pazienza di leggersi buona parte dei molti decreti governativi COVID promulgati in questi mesi avrebbe realizzato con chiarezza che una massa enorme di denaro è stata – in parte utilmente – impiegata ma anche – in altrettanto significativa parte –  inutilmente dispersa in mille rivoli che percorrono strati sociali, gruppi di interesse, enti, aziende e privati ma che, in definitiva, alla fine scompaiono alla stregua di un fiume carsico che si inabissa e di cui alla fine non si sa più nulla.

Poco ci importa se qualche parlamentare abbia preso 600 euro: atto eticamente condannabile, certo, ma normativamente possibile.  Di più ci interessa capire secondo quale logica, in una situazione di crisi sanitaria ma anche economica quale è l’attuale, con le casse dello Stato completamente vuote e un debito pubblico che non è un buco ma una voragine (oggi è di poco inferiore a milleseicento miliardi di euro, all’incirca 43mila euro a testa neonati compresi) , si ritiene utile e prioritario accontentare chi vuole finanziare l’acquisto di monopattini, mettere altri soldi in Alitalia ( questo sì un buco nero che finora ha inghiottito oltre 12 miliardi di euro…) finanziare aziende con sedi legali all’estero che promettono di mantenere l’occupazione in Italia.

Guardiamo, ad esempio, il decreto Rilancio: Denaro per i pescatori, per gli agricoltori (ma l’agricoltura italiana, anche se Coldiretti si guarda bene dal dirlo, prima di essere risorsa del Paese è storicamente un campione nazionale di prebende e contributi a fondo perduto di cui nessuno parla perché troppi sono gli agricoltori e quindi troppi i voti che tutti temono di perdere…) . Denaro per le imprese del turismo (170 milioni) che sono in affanno, denaro per i lavoratori che non lavorano, denaro (ma senza esagerare …) per una sanità pubblica devastata da anni, se non decenni, dei famosi tagli lineari.

Un fiume di denaro per le scuole (giustamente, diranno i nostri lettori) per comprare sedie a rotelle e banchi nuovi (forse bastava accostarne due di quelli già in uso e mettere due studenti al posto di quattro) e, magari, fare un po’ di doppi turni, o qualche altra soluzione di semplice buonsenso.

Potremmo continuare per parecchio, ma è preferibile pensare a noi, alle nostre aziende, ai nostri collaboratori e alle nostre famiglie.

Si, perché, se c’è una categoria che fin qui non ha chiesto nulla ma ha lavorato ininterrottamente durante tutti i terribili mesi del lockdown, titolari e dipendenti, spesso senza cassa integrazione (o, chi l’ha chiesta, con mille difficoltà per averla…) senza badare a spese per mettere per quanto possibile in sicurezza chi lavora ma anche la clientela, acquistando a volte a prezzi ingiustificabili mascherine e guanti (materiale, è bene ricordarlo, per mesi introvabile), spesso arrangiandosi con roba fatta in casa, disinfettanti a prezzi da mercato nero, schermi parafiato carissimi (ma si sa, la disgrazia per qualcuno  è spesso una fortuna per altri…..).

E poi gli obblighi di affiggere manifesti, avvisi e istruzioni, di controllare il comportamento dei clienti (c’è chi ha pagato multe salate per clienti senza mascherina sulla porta del negozio …).

Ebbene, consapevoli della necessità di assumere tutte le cautele del caso in nome della salute di tutti, ci siamo sobbarcati i costi necessari a farlo, confortati però dal fatto che si trattava di un’azione di prevenzione pubblica e che lo Stato aveva subito promesso che sarebbe intervenuto coprendo, con credito d’imposta, il 60% delle stesse.  Ma la cifra complessiva stanziata era di appena 200 milioni di € per tutto il 2020.

Né le grandi confederazioni (siano esse dei lavoratori che delle imprese) perennemente sedute ai tavoli di confronto con il Governo, dove dicono di essere presenti per condizionare le scelte del Governo e la politica economica del Paese lo hanno fatto presente, impegnate come erano a chiedere soldi su altri aspetti evidentemente più interessanti.

200 milioni.  Una cifra prevedibilmente ridicola, visto ciò che si doveva fare (e non per scelta, ma per legge). E così le richieste, altrettanto prevedibilmente, sono state oltre sei volte maggiori arrivando a poco meno di 1 miliardo e 300 milioni.

Morale della favola: chi si aspettava un credito d’imposta del 60% oggi si ritrova con poco più del 15%.

Ad oggi nessuno parla di rifinanziare misure che sono essenziali per la salute e che tutti, istituzioni, partiti e organizzazioni varie continuano a raccomandare di assumere.   Ma, se qualcosa non cambia, ancora una volta tutto graverà sulle nostre spalle.

Obbligati a spendere per decreto in nome della salute pubblica.

Eppure gli spazi parlamentari per intervenire ci sono . Il Decreto Agosto dovrà essere convertito in legge e in quella sede, se ci sarà la volontà politica di farlo, si potrà rimediare a quella che è una vera e propria ingiustizia.

Questa Federazione non si limita a denunciare ma si sta muovendo nei confronti del Governo perché si rifinanzi adeguatamente la misura e si torni a dare contenuto reale a una delle poche misure di salute pubblica che coinvolgono direttamente le imprese.

E, anche se si rischia di passare per cinici, vale comunque la pena di ricordare che costa molto meno coprire al 60% le spese di prevenzione ritenute essenziali che curare migliaia di persone   che rischiano di rimanere esposte al contagio.

Né le grandi confederazioni (siano esse dei lavoratori che delle imprese) sentono l’obbligo di intervenire a quei tavoli dove dicono di condizionare le scelte del Governo e la politica economica del Paese.

Dovremo ancora una volta farlo a spese nostre, acutamente consapevoli di essere come sempre responsabili nei fatti e non nelle parole del nostro ruolo civico e sociale. Ma, in fondo, siamo solo e soltanto dei semplici fornai.