LA FEDERAZIONE STOPPA LA CONCORRENZA FISCALE DEL PANE PRODOTTO DAI CONTADINI

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         ecco cosa diceva 10 anni fa COLDIRETTI ma ora….

DOPO DIECI ANNI RISTABILITA LA PARITA’ FISCALE

TRA FORNAI E AGRICOLTORI: IL TAR DEL LAZIO ANNULLA IL DECRETO

CHE TASSAVA IL “PANE AGRICOLO” COME REDDITO AGRARIO.

Era il luglio del 2011 quando COLDIRETTI, dalle colonne del suo giornale, festeggiava l’inserimento della produzione di pane da parte degli agricoltori tra i prodotti agricoli con queste parole:

Il pane si conferma a tutti gli effetti un prodotto della trasformazione agricola. Lo ha ratificato un decreto del ministero dell’Economia e delle finanze, recentemente pubblicato in Gazzetta Ufficiale, che ha aggiornato l’elenco dei beni che possono rientrare tra le attività agricole connesse.

Nonostante le proteste dei panificatori, resta dunque valida la novità, introdotta dal decreto dello scorso 10 agosto e fortemente voluta da Coldiretti, che permette agli imprenditori agricoli di produrre e vendere il pane, in azienda, nei mercati di Campagna Amica o nelle Botteghe che apriranno presto i battenti su tutto il territorio nazionale.” 

Così, ancora una volta – e, come sempre – trionfante, scriveva la Coldiretti nel luglio del 2011 sottolineando, e neppure tanto implicitamente, l’impotenza delle altre categorie: in questo caso, l’inutilità delle proteste dei panificatori.

Quasi un sussurrato ammonimento a non mettersi contro i più grandi, i più forti, i più potenti. Né sfuggirà ai più attenti come quell’inciso “…permette agli imprenditori agricoli di produrre e vendere pane…” esalti il fatto che finalmente anche gli agricoltori mentre, fin dall’abolizione della licenza di panificazione con il decreto Bersani (agosto 2006) tutti – agricoltori compresi – possono fare pane.  Ciò che invece costituiva il vero “vulnus” del decreto ministeriale era il fatto che la produzione e vendita di pane da parte degli agricoltori veniva fatto rientrare tra i “prodotti di trasformazione agricola” e come tale rientrante nella “disciplina fiscale per le attività agricole connesse” ovvero “dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione commercializzazione e valorizzazione prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali”. Con la conseguenza che il reddito agricolo derivante dal pane rientrerebbe non nella tassazione ordinaria bensì in quella, infinitamente più favorevole, basata sui valori catastali aziendali. Tali dovrebbero essere i prodotti definiti di prima trasformazione, quali, ad esempio, il vino prodotto dall’uva o l’olio dalle olive.

Ma il pane e i prodotti da forno non sono ovviamente tali, poichè è dalla farina (prodotto di prima trasformazione) che si arriva al pane: e, dunque, il pane è a tutti gli effetti un prodotto di seconda trasformazione e, come tale non dovrebbe essere considerato tra le “attività agricole annesse” escludendolo così dalla tassazione ordinaria.

Una beffa e un’ingiustizia insopportabile per i panificatori italiani, che avrebbero dovuto così sottostare ad una fortissima distorsione della concorrenza basata sui costi fiscali e contraria ai principi e alle normative nazionali ed europee.

Tutto questo che altre organizzazioni, è stato unicamente oggetto di qualche sdegnato comunicato stampa, salvo successivamente considerare chiuso il problema: ne è un esempio recente (settembre 2020) l’incontro a Matera tra Confesercenti e Coldiretti per parlare degli aumenti del prezzo del pane, quasi che agricoltori e panificatori fossero oramai due categorie con interessi ed esigenze condivise, e non in concorrenza sleale basata sull’incolmabile divario nei costi fiscali. E non basta parlare di “filiera” per risolvere sempre tutto.

Ma che questa Federazione sia diversa e, forse, anomala, è un dato di fatto. E che sia paziente e testarda lo è altrettanto, così come meno abituata a strillare e più incline ad azioni concrete.  Come finire nei tribunali contro Barilla quando, nei suoi spot, faceva finta che il suo fosse pane fresco uguale a quello artigianale, o contro le norme scritte male che possono costare migliaia di euro di sanzioni (“decreto panettoni”) o, come in questo caso ricorrere contro un’ingiustizia che mette in difficoltà i panificatori privilegiando quella che è, di fatto un’esenzione fiscale ingiustificata per gli agricoltori che di aiuti economici pubblici e vantaggi fiscali ne hanno già un’enormità che appare, francamente, al di là di ogni logica motivazione. E che ora vorrebbero avocare a sé anche il pane.

Fare cause costa, in termini di tempo, di impegno e di soldi.

Così come costa scrivere proposte di legge (non sarà male ricordare che quella sul pane fresco è stata scritta da questa Federazione, come lo è stata la battaglia parlamentare per il consumo immediato o, ancor prima, l’abolizione del divieto di lavoro notturno degli apprendisti, oggi così scontata, ma per oltre cinquant’anni impossibile da realizzare) e costa portare avanti trattative con le organizzazioni dei lavoratori per dare ai panificatori strumenti contrattuali utili e a costi ben motivati.

Ma sono questi i soldi meglio spesi, perché è questo il lavoro, e sono queste le battaglie che rappresentano per la Federazione Italiana Panificatori il primo e vero significato di cosa significhi “tutela degli interessi dei panificatori italiani”

Per ben dieci anni abbiamo portato avanti alla giustizia questo caso esemplare di ingiustizia, fino a giungere, oggi, e finalmente, a ristabilire le giuste regole del gioco grazie alla sentenza fortemente motivata ed articolata (ben 26 pagine) del TAR del lazio (che, a differenza degli altri TAR regionali, ha competenza su tutto il territorio nazionale) che ha chiaramente sottolineato come legge e fisco devono essere uguali per tutti.

Ci saranno, probabilmente, ricorsi e sentenze impugnate, ma, per intanto, il decreto è fin d’ora annullato e gli agricoltori, con buona pace di Coldiretti, perlomeno sul pane e prodotti da forno, dovranno pagare le tasse.

Come noi, come tutti.