Francia: protocolli fase 2 specifici per 48 attività (panificazione compresa…)

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Confusi come siamo tutti dalle difficoltà di applicazione concreta del protocollo che il nostro Governo ha partorito in accordo con Sindacati e Confederazioni, affranti per le mille interpretazioni concrete diverse tra loro che ogni consulente che si rispetti ha pensato bene di elaborare e non sempre nel modo più semplice e concretamente applicabile per le aziende italiane (difficile, d’altronde, che i consulenti servano a semplificare troppo le cose, il che rischierebbe di rendere superfluo il loro intervento…) ci è venuta la curiosità di andare a vedere cosa succede nelle altre parti d’Europa. E ancora una volta abbiamo scoperto che si, siamo tutti europei, tutti prede del coronavirus ma non per questo siamo tutti uguali.

Per esempio,  il protocollo nazionale francese predisposto dal Ministére du Travail (ovvero il Ministero del Lavoro francese) e  pubblicato il 3 di maggio, in vista della fase 2,   definito “protocollo di deconfinamento” è finalizzato ad  aiutare e supportare aziende e associazioni, qualunque sia la loro dimensione, attività e posizione geografica, per riprendere la loro attività garantendo la protezione della salute dei loro dipendenti grazie a regole universali. Tale dovrebbe essere anche il nostro, ma già ad una prima lettura le differenze saltano agli occhi.

Senza voler entrare nel merito delle misure che sono in gran parte simili alle nostre, ciò che si vuole sottolineare è l’approccio pragmatico che caratterizza questo documento.  Meno enunciazioni generali molti più esempi ed indicazioni comportamentali concrete.

Tanto per fare alcuni esempi, parlando di distanziamento sia nei luoghi di lavoro che negli spazi pubblici non lo definiscono in modo generico limitandosi al metro di distanza interpersonale ma lo quantificano in termini di metri quadri, ovvero :

“Sulla base del parere del Consiglio superiore per la sanità pubblica del 24 aprile 2020, il governo ha scelto di mantenere un criterio “universale” di massima occupazione degli spazi aperti al pubblico e sul posto di lavoro (“sagoma”). Questo criterio si basa sulla stima del numero di metri quadrati per persona (m² / persona), necessario per consentire alle persone presenti contemporaneamente nello stesso spazio (dipendenti, clienti, ecc.) Di evolversi nel rispetto delle regole di distanza fisica. È stato fissato a un minimo di 4 m2 a persona, il che dovrebbe garantire una distanza minima di 1 metro attorno a una persona (in tutte le direzioni).” 

Seguono alcuni esempi di calcolo per superfici diverse, dai 2mila metri quadri dei grandi supermercati fino ai 100 metri quadri per una libreria per la quale il testo francese sviluppa questo calcolo:

Esempio 3: libreria con una superficie di 100 m²
Considerando che la scaffalatura rappresenta una superficie del 40%, rimane il 60% di
area residua disponibile per clienti e personale. Per 60m² di superficie
disponibile, considerando la superficie massima di 4m² per persona può ospitare nel negozio
60/4 = 15 persone.
Se l’impronta è del 60%, caso plausibile a seconda della configurazione dei locali, una superficie
che residui di poco più di 40m² potrà ospitare fino a 10 persone.

Si noti che valutando in 4 metri quadri a persona lo spazio necessario per assicurare il distanziamento, un locale d’affari di 40 metri quadri (oggi da noi può accogliere al massimo UNA persona alla volta più due di personale aziendale, nel caso francese potrebbe accoglierne dalle sei alle otto…)

Quando si parla di dispositivi di protezione ed in particolare di mascherine, anzichè perdersi in generici obblighi di indossarle il protocollo francese sottolinea piuttosto come i DPI  vadano considerati come ultima risorsa, quando è impossibile utilizzare una soluzione di protezione collettiva di natura tecnica (schermi fisici, spaziatura delle postazioni di lavoro , ecc.) o organizzativo (differenza di tempo, duplicazione dei team, ecc. o quando quest’ultimo da solo non è sufficiente per proteggere il lavoratore.”   Le prestazioni dei DPI dipendono infatti strettamente dal rispetto delle condizioni ideali di utilizzo, che raramente si trovano nella pratica.Il loro uso può quindi fornire un indebito senso di sicurezza e persino diventare controproducente portando all’abbandono di azioni preventive elementari. I DPI costituiscono pertanto un complemento delle misure di protezione collettiva e non possono sostituirle. Queste sono almeno a nostro avviso, informazioni estremamente importanti che presi come siamo dalle mascherine noi non siamo portati a considerare sufficientemente.

Ma non solo mette in guardia dal considerare le mascherine come soluzione ottimale per il contagio, ne fa una distinzione di utilizzo ben precisa fornendo uno schema molto chiaro dal quale emerge che le chirurgiche e le FFP2 e FFP3 devono essere riservate al personale sanitario mentre per i lavoratori dell’industria e del commercio ( masque individuel à usage des professionnels en contact avec le public) vanno usate  Masque alternatif à usage non sanitaire 

Ma ciò che più colpisce è che contemporaneamente alla pubblicazione del protocollo il Ministero del Lavoro francese abbia pubblicato anche le guide del lavoro specifiche per ben 48 attività già disponibili sul sito web del Ministero del Lavoro e sviluppate in collaborazione con federazioni professionali e parti sociali. Nei prossimi giorni verranno inoltre pubblicate nuove guide, su richiesta delle parti sociali.  E tra queste anche la

SCHEDA CONTROLLO PER LA PANIFICAZIONE (qui il link)

Concludendo, non siamo innamorati dei francesi, e non siamo certo in grado di dire se le loro indicazioni siano migliori o peggiori delle nostre.

Ma sono chiare, dettagliate e forse ciò che ci manca è proprio avere chiaro cosa fare e come farlo.