FARE IL PANE? OGGI COSTA TROPPO…

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Provocatoria ma estremamente attuale l’intervista rilasciata da Emma Prunella, segretaria dei panificatori tarantino, ad Angelo Diofano, giornalista del Corriere di Taranto, che qui riportiamo integralmente.

Si ringrazia il Corriere di Taranto per aver consentito la riproduzione integrale  dell’intervista.

A colloquio con Emma Prunella dell’Associazione panificatori di Taranto

“Con l’aumento dei costi delle materie prime e dell’energia, il pane dovrebbe essere venduto, per un minimo di remuneratività, sulle 4,50-5  euro al chilo. Ma per non gravare eccessivamente sul consumatore e fronteggiare la concorrenza sleale, che a Taranto non è poca, siamo costretti a non oltrepassare quota 3,50”.

Così sostiene Emma Prunella, dal 1999 segretaria dell’Associazione panificatori di Taranto (costituitasi autonomamente nel 1963, attualmente con più di un centinaio di associati), nonché principale collaboratrice del presidente Francesco Sarli  e dapprima del compianto Franco La Sorsa.

Prunella informa che nell’ultimo anno circa una decina di panifici del territorio ionico, impossibilitati a reggere i costi, hanno dovuto chiudere i battenti, anche quelli che vantavano una lunga presenza sul mercato, e che altri si apprestano a fare la stessa fine.

“Proprio non riesco a comprendere come mai taluni continuino a vendere il pane a 2 euro al chilo, nonostante tutti gli aumenti:  innanzitutto quello della farina che è passata dai 53 centesimi  all’euro al chilo; così è avvenuto per lo zucchero, le uova, il lievito, per non parlare di luce e gas, le cui forniture sfiorano il 600 per cento in più. I costi sono o almeno dovrebbero essere uguali per tutti. Ma forse in taluni casi gli allacci all’energia elettrica sono abusivi o si sottopagano i dipendenti? Oppure la qualità degli ingredienti  adoperati non è proprio ottimale? – si chiede Emma Prunella, aggiungendo che dovrebbero chiederselo anche i consumatori che, per esempio, continuano ad acquistare il pane per strada, dalle scarse garanzie igienico-sanitarie anche per via dei molteplici passaggi di mano, che favoriscono il proliferare di batteri estremamente dannosi all’intestino con malattie non facilmente curabili.

Agli aumenti dei costi si aggiunge la diminuzione delle vendite per le mutate esigenze dei consumatori: dai due quintali giornalieri di una cinquantina d’anni addietro agli attuali 70-80 kg, con un netto cambio anche della pezzature: “Una volta  si vendevano solo forme di pane da mezzo chilo e un chilo, oltre a quelle tradizionali dei panini, che ora non devono assolutamente superare i 50-60 grammi – dice la referente dell’associazione jonica – E’ cambiata soprattutto la varietà dei prodotti: c’è il pane integrale, ai cinque cereali, al kamut, di segale ecc ecc. Lo stesso discorso vale per le focacce: un tempo non si andava oltre a quella bianca, con i  pelati e  i pomodorini mentre oggi se ne mettono in vendita con i più svariati ingredienti e se ne sperimentano sempre nuovi tipi. Inoltre, sempre per le diversificate esigenze, i panifici hanno in vendita biscotti e altri tipi di prodotti da forno non trascurando la pasticceria fresca e la gastronomia per finire addirittura al servizio di caffetteria.”.

“Soprattutto – conclude Emma Prunella – ci teniamo a garantire prodotti di qualità, adoperando materie prime allo stato naturale, al contrario di quanto avviene di frequente nella produzione industriale, evitando additivi e conservanti con elevato tasso di nocività e insistendo sulle lievitazioni di lunga durata: le malattie, infatti, dipendono anche da quello che mangiamo, che deve essere poco ma salubre. Va anche sottolineato che l’Associazione dei panificatori di Taranto si è impegnata a livello nazionale per leggi a tutela della salute del consumatore, come quella per il pane a mezzo sale (per chi soffre di pressione alta).

Purtroppo non sempre i nostri sforzi vengono compresi dall’acquirente che, pur di risparmiare, talvolta tende a preferire prodotti a basso prezzo che non sempre fanno bene”.