
Dopo la pandemia e dopo anni di lamentazioni sul pesante tasso di disoccupazione italiano, con un accento particolarmente preoccupante per quanto riguarda i giovani, in pochi mesi il trend sembra essersi invertito.
Infatti, quanto a difficoltà, e sovente a reale impossibilità di trovare mano d’opera, la situazione sembra farsi sempre più drammatica in modo trasversale, sia per quanto riguarda personale generico che quello qualificato così come per quello ad alta specializzazione tecnologica, laureati compresi.
La spiegazione più semplice e immediata è che la forbice tra stipendio reale del lavoratore e il costo del lavoro per l’azienda è tale da scoraggiare i nostri ragazzi a lavorare. Un dato di fatto innegabile, ma che da solo non può bastare a spiegare perché oggi centinaia se non migliaia di imprese, non solo del nostro settore, rischiano di fermarsi per mancanza di personale.
Ciò che più impressiona sono i dati relativi ai cosiddetti NEET, (dall’inglese ‘Not in Employment, Education or Training)’, ovvero i giovani che non studiano, non lavorano e non fanno formazione.
In Italia nella fascia d’età 15-34 anni, sono complessivamente più di 3 milioni, con una prevalenza femminile pari a 1,7 milioni. Dopo la Turchia (33,6%), il Montenegro (28,6%) e la Macedonia (27,6%), nel 2020 l’Italia è il Paese con il maggior tasso di NEET in Europa. I dati mostrano come il 25,1% dei giovani italiani tra i 15 e i 34 anni (1 su 4) non lavora, né studia, né è coinvolto in un percorso formativo (fonte: Piano NEET 2022 – Ministero politiche giovanili).
Ciò significa che un giovane su quattro non solo non lavora, ma al momento non fa neppure nulla per poter lavorare. Legittimo interrogarsi sia sul perché ciò accada, così come preoccuparsi su quali siano le prospettive per il futuro. Infatti, in assenza di giovani che intraprendano il nostro lavoro, anche il domani delle aziende viene messo fortemente in discussione, non solo per la mancanza di forza lavoro, ma anche e soprattutto per la difficoltà, sempre crescente, che ci sarà per il ricambio generazionale: in alteri termini, se oggi non troviamo giovani che vogliono fare i fornai e i pasticceri, a chi lasceremo le nostre aziende?
Per tentare di rispondere a tutto questo è necessario tentare di capire innanzitutto perché ciò accada.
Se consideriamo che la questione retributiva, per quanto reale, non sia di per sé sufficiente a spiegare il fenomeno, dobbiamo necessariamente considerare che vi siano altre concause che portano in questa situazione. Proviamo a vedere quali potrebbero essere.
La pandemia. Che due anni di pandemia abbiano inciso pesantemente sugli stili di vita è fuori discussione. Ma perché milioni di lavoratori, in tutto il mondo, stanno abbandonando i posti di lavoro? Il fenomeno, indicato come “great resignation” trova le sue radici anche (ma ovviamente non solo) nel fatto che migliaia, milioni di persone sono state colpite, anche in modo mortale, da un momento all’altro a causa di qualcosa di totalmente inaspettato (il COVID) e ciò ha portato molti alla consapevolezza che “Si vive una volta sola”. La qualità della vita diventa, quindi, un valore importante per il quale si è disposti a sacrificare anche la carriera.
Il Reddito di cittadinanza: non vi è dubbio che questa misura, sicuramente in termini di principio lodevole, se applicata a chi veramente per età o stato di salute non può lavorare, nei fatti estesa “urbi et orbi”, abbia provocato danni sostanziali. Danni che non sono solo dati dal molto denaro, speso dallo Stato e dalle migliaia di persone che ne hanno usufruito, ma anche e soprattutto dall’instaurarsi di una diffusa mentalità secondo la quale, anche senza lavorare, vi sia sempre e comunque la possibilità di accedere ad altre fonti di reddito pubbliche o private che siano.
La denatalità. Secondo ISTAT, nel nostro paese la denatalità è in forte e inarrestabile crescita. Sono poco più di 400mila i nuovi nati nel 2022. Il che significa che tra 15- 18 anni, tenuto conto che se non tutti, ma sicuramente gran parte dei giovani di quell’età studiano e pochissimi lavorano, saranno poche migliaia i giovani italiani disponibili per il lavoro.
Non vi è dubbio che, se queste sono le cause e le prospettive per il futuro, ci sia da esserne seriamente preoccupati. Così come è fuori discussione che questo sarà uno dei temi dominanti sul quale non solo la Federazione, ma anche le organizzazioni sindacali dei lavoratori dovranno fortemente impegnarsi, individuando possibili soluzioni per rendere certamente più motivante e attrattivo il nostro lavoro, ma anche per cercare di far ritrovare la consapevolezza nei nostri giovani che il lavoro rappresenti un valore non solo economico, ma anche umano e sociale, che li deve accompagnare per tutta la vita.