DIMISSIONI DEL LAVORATORE E SUA MANCATA COMUNICAZIONE

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Come noto, uno dei problemi che a volte si pongono in presenza di dimissioni volontarie del lavoratore, è l’obbligo che lo stesso comunichi al Ministero del lavoro per via telematica la sua volontà di recesso (articolo 26, Dlgs 151/2015).

In linea di principio, la mancata comunicaizone di cui sopra rende nulle le dimissioni che rimane così in carico all’azienda a tutti gli effetti

Succede che a volte il lavoratore stesso, pur sollecitato dal datore di lavoro a presentare tale comunicazione, non adempie a tale obbligo creando così un notevole problema e costringendo l’azienda a procedere al licenziamento che a sua volta dà diritto al lavoratore, a questo punto non receduto ma licenziato, a percepire la NASPI.

Sull’argomento è recentemente intervenuta in modo interessante la Cassazione (sentenza n.  25583/19), precisando che seppure mancante la comunicazione prevista dall’art. 26, le dimissioni possano ritenersi egualmente valide a tutti gli effetti qualora il recesso volontario del prestatore di lavoro possa comunque essere ricavato da una mera dichiarazione o da comportamenti che palesino indubbiamente la volontà del prestatore di risolvere il contratto di lavoro. Nell’affermare detto principio, i giudici di legittimità richiamano ulteriori, precedenti pronunce che vanno nella medesima direzione (Cass. 5454/2011; 6604/2000).

Ciò perché, se da un lato la norma (articolo 26 citato) è volta ad evitare ogni possibile abuso delle dimissioni (primo tra tutti, il foglio firmato in bianco senza data), dall’altro lato, la fattispecie delle dimissioni di fatto – per cui devono sussistere una serie di condizioni che provano il disinteresse del prestatore a proseguire nel rapporto di lavoro – si pone al di fuori del perimetro di protezione del lavoratore.