Lo scorso luglio l’INPS ha diffuso un messaggio relativo al lavoro in azienda di parenti del titolare quando tale lavoro si possa configurare come un vero e proprio rapporto lavorativo e non abbia le caratteristiche di occasionalità . Nel caso ricorrano invece le condizioni per considerarlo a tutti gli effetti un vero e proprio lavoro prestato continuativamente, interviene l’obbligo di comunicarlo all ‘INPS che allo scopo ha attivato il modulo “Iscrizione Azienda” con un apposito campo “Dichiarazione di parentela”.
Nel messaggio l’INPS sottolinea come , “nell’ipotesi di prestazioni di lavoro tra parenti e affini conviventi, in virtù del vincolo che lega i soggetti coinvolti e della relativa comunione di interessi, la prestazione lavorativa si
presume a titolo gratuito ed è, pertanto, necessario verificare l’eventuale sussistenza dei requisiti della subordinazione” . A tale proposito, la Cassazione (Sez. Lav., 27 febbraio 2018, n. 4535) ha ribadito che gli elementi utili o indici oggettivi che consentono di riconoscere l’effettivo inserimento organizzativo e gerarchico del parente/affine nella organizzazione aziendale, qualificando il rapporto come subordinato sono :
l’onerosità della prestazione;
la presenza costante presso il luogo di lavoro previsto dal contratto;
l’osservanza di un orario coincidente con quello dell’attività economica;
il programmatico valersi da parte del titolare della prestazione lavorativa del familiare;
la corresponsione di un compenso a cadenze fisse.
In altri termini, per escludere la presunzione di subordinazione, il lavoro prestato dal parente non dovrà essere retribuito nè prestato in modo continuativo nè tantomeno costituire un elemento fisso e costante nell’ambito aziendale tale da far considerare il familiare un soggetto che partecipa in modo effettivo e sostanziale all’attività dell’impresa. i limiti temporali di presenza attiva nell’azienda da parte del familiare non debbono in ogni caso superare i 90 giorni nell’anno, o, in alternativa, le 720 ore annue.