
ANCORA UN NULLA DI FATTO NELL’ULTIMO INCONTRO CON I SINDACATI.
LA FEDERAZIONE RIMANE IN ATTESA DI SEGNALI E RISPOSTE CONCRETE.
Giovedì scorso, per l’ennesima volta, la Federazione ha dovuto ribadire alle rappresentanze di FLAI CGIL, FAI-CISL e UILA-UIL (firmatarie del nostro CCNL), la necessità di modifiche radicali sia della struttura contrattuale (praticamente sempre la stessa da decenni) sia dei contenuti della stessa, in primo luogo relativamente a flessibilità – intesa nel senso più ampio del termine – che delle maggiorazioni, così come della necessità di introdurre valutazioni sia oggettive legate alla situazione economica del territorio che soggettive che prendano in considerazione l’andamento della singola impresa, spesso fortemente legato alla sua localizzazione, così come alla qualità della prestazione lavorativa degli addetti, altrimenti definito come indicatore di performance.
Il disastro causato dalla pandemia non ha fatto che accelerare la necessità di dare risposte contrattuali adeguate alle necessità del settore, e, in tal senso, la Federazione ha proposto ai sindacati, con un documento molto articolato, le soluzioni che ritiene siano indispensabili per guardare al futuro delle imprese se non con grande ottimismo perlomeno con la consapevolezza che qualcosa, per salvare aziende e posti di lavoro, assieme, si possa effettivamente fare.
Del resto, anche se è vero che il settore della panificazione non è stato sottoposto come altri a chiusure totali delle imprese (ma comunque a misure drastiche nella limitazione degli ingressi, ristrutturazioni di orari e mansioni ma anche a volte strutturali di prevenzione epidemica con tutti i costi connessi), è pur vero che ha comunque risentito anche pesantemente della situazione economica complessiva del Paese, dello svuotamento dei centri storici, delle lunghe sospensioni di attività di altri settori quali, ad esempio, la ristorazione e la filiera del turismo.
Sono dati emersi con forza durante l’ultima riunione della Commissione nazionale di Indirizzo, chiamata ad esprimersi sulle risposte che le organizzazioni dei lavoratori hanno dato alle nostre proposte, nel corso della quale molti delegati hanno evidenziato come ci siano aziende del nostro settore che hanno perso anche più del 40% del proprio fatturato.
In coerenza con un quadro generale di questo tipo, la Commissione Nazionale Federale ha ribadito con forza, nella nota inviata alle Organizzazioni Sindacali, la necessità di intervenire subito con un cambio di rotta sostanziale del contratto, sia nella struttura che nei contenuti, sottolineando l’estrema difficoltà a discutere di incrementi salariali senza tener conto dello stato reale di difficoltà delle imprese.
La risposta congiunta di FLAI CGIL, FAI-CISL e UILA-UIL, ancora una volta molto politica ma, nei fatti, negativa, dimostra e riconferma la sostanziale incapacità del sindacato di accettare il fatto di essere stati superati dalla realtà degli eventi (come clamorosamente dimostrato dal numero di contratti che non riescono a rinnovare): ma, peggio ancora, evidenzia un sostanziale rifiuto di fare proprio l’ovvio concetto che non può esserci lavoro se non c’è l’impresa.
In questo lunghissimo periodo epidemico le imprese di panificazione hanno già dato molto, in termini economici ma anche e soprattutto umani; hanno sopportato e continuano a sopportare costi aggiuntivi sanitari e non solo, si sono caricate sulle spalle pesanti riduzioni di fatturato e, in tal modo, hanno salvaguardato i propri collaboratori senza ricorrere a licenziamenti e, nella stragrande maggioranza dei casi, alla cassa integrazione. Per contro, non risulta che, seppur sollecitati a farlo, i signori del sindacato abbiano intrapreso azioni o iniziative, anche attivando, come avevamo richiesto, la bilateralità e le risorse di cui essa dispone, per supportare le nostre imprese e, in tal modo, indirettamente, i lavoratori che dovrebbero rappresentare e tutelare.
Flessibilità contrattuale, struttura dei costi aziendali, sono solo alcuni degli elementi necessari ad evitare che molte, troppe aziende siano costrette a chiudere e mandare a casa i propri dipendenti; e molte altre, bene che vada, faranno l’impossibile per rimanere aperte ma si vedranno costrette a licenziare.
Nel corso di una conferenza stampa, fu chiesto al presidente Draghi se l’aumento del debito pubblico avrebbe richiesto un aumento della pressione fiscale la sua risposta fu “ci sono momenti nei quali non si può chiedere, ma bisogna dare”.
Ecco, parafrasando le parole di Draghi, possiamo dire che noi, panificatori, abbiamo dato e stiamo dando tutto ciò che è possibile dare per salvare imprese e posti di lavoro.
Ma non possiamo essere gli unici a farlo.
Edvino Jerian