
E ’ chiaro che quando uno supera i sessant’anni tende a perdere lucidità e chiarezza mentale. A me, che ho passato i sessantacinque, deve essere successo qualcosa del genere perché nell’evoluzione (involuzione?) delle trattative sul contratto di lavoro non mi raccapezzo più né riesco a immaginare come possano andare a finire.
E dunque, a puro beneficio del mio ordine mentale e magari anche di coloro che si stanno ponendo delle domande su una questione tanto delicata quale è il costo del lavoro, provo a ripercorrere per sommi capi che cosa è fin qui successo e capire a che punto siamo oggi.
Il 31 dicembre del 2014 formalmente scade il nostro contratto.
A maggio del 2015 FLAI-CGIL FAI-CISL e UILA-UIL inviano formalmente la piattaforma con le loro richieste sia normative che economiche (aumento di 106 € mensili per il livello A2).
A luglio 2015 ha luogo il primo incontro durante il quale, come vuole la prassi, i sindacati illustrano nel dettaglio i punti della piattaforma.
Nell’autunno del 2015 la Federazione esprime le proprie valutazioni sui punti della piattaforma, dando disponibilità a discutere su molti dei temi proposti ma, nel contempo, sottolineando come i tempi siano profondamente cambiati e che le vecchie liturgie di rinnovo non possono rimanere le stesse di molti decenni fa. Nel contempo la Federazione si impegna a presentare una propria piattaforma basata su criteri completamente nuovi e che si basi sullo stato reale delle imprese e dell’andamento economico del territorio.
Nel dicembre del 2015 la Federazione presenta la propria proposta che, nel determinare gli aumenti retributivi, tiene conto: a) del costo della vita sulla base del prodotto interno lordo del territorio (regioni del sud hanno un PIL anche del 50% inferiore a quello di alcune aree del Nord); b) dell’andamento reale dell’impresa determinabile tecnicamente sulla base degli ultimi tre anni (lo fanno già automaticamente i correttivi per gli studi di settore) e c) che tengano conto della produttività reale di ogni singolo addetto, sulla base del fatto che in tempi di crisi come gli attuali è impensabile non tenere conto delle differenze tra chi dà il massimo per tenere in piedi l’azienda e chi si limita a vivacchiare per tirare paga alla fine del mese.
La Federazione specifica anche che ritiene indispensabile, per poter proseguire nelle trattative, che la nuova impostazione proposta venga discussa dando ovviamente disponibilità a verificarne eventuali modifiche e/o integrazioni. Da notare che la proposta federale viene discussa e condivisa all’unanimità dal Consiglio di Indirizzo Federale nonché approvata all’unanimità successivamente – quale punto inderogabile e prioritario a qualunque altra discussione contrattuale, ivi ovviamente compresi gli eventuali aumenti economici richiesti – dall’assemblea ordinaria del 23 giugno 2016.
Nel periodo intercorso dal dicembre 2015 ad oggi è successo di tutto e di più: riunioni su riunioni, marce avanti e marce indietro dei sindacati, finte aperture, sbeffeggiamenti da parte di FIESA Confesercenti alle nostre proposte tranne poi, almeno a parole, condividerle.
Ma, senza voler annoiare ulteriormente chi ci legge, basterà dire che in sostanza, nell’ultimo incontro, i sindacati hanno senza mezzi termini dichiarato che le nostre proposte non possono essere nemmeno prese in considerazione non perché assurde o sbagliate ma, più semplicemente, perché “le confederazioni hanno stabilito così” e cioè che bisogna continuare come prima, dando incrementi uguali per tutti mitigati da una possibile, timida trattativa territoriale alla quale affidare una parte dell’incremento stesso. In altri termini, ci è stato detto “o accettate le nostre condizioni o si rompono le trattative”. Ora, va da sé che in qualunque trattativa il rispetto reciproco tra le parti costituisce l’elemento essenziale per poter discutere: né può essere accettabile una posizione di rifiuto priva di motivazioni se non quella che “mamma non mi permette di farlo”. Nella vicenda occorre anche ricordare che al nostro fianco (ma si fa per dire…) abbiamo, quali compagni di viaggio, i funzionari di FIESA Confesercenti, episodicamente e di tanto in tanto accompagnati da qualche fornaio. Funzionari che evidentemente anch’essi hanno più a cuore la pax sindacale (ma sì, diamogli un aumento perché le relazioni vanno mantenute e una sessantina di euro al mese in più da pagare ai dipendenti possiamo sempre trovare il modo di giustificarli alle aziende) che non i conti delle imprese che non sanno come chiudere i bilanci.
Siamo dunque a questo punto, con i sindacati che minacciano la rottura delle trattative, la Federazione che, rispettosa delle delibere ma soprattutto pienamente consapevole della situazione economica delle imprese, rifiuta di concedere aumenti immotivati e FIESA che, pur avendo (a parole, e solo a parole…) riconosciuto la validità della nostra piattaforma, ansima per tornare al vecchiume di un rinnovo contrattato secondo i vecchi criteri da mercato delle vacche. Non vi è dubbio che, essendo la Federazione l’unico tra i protagonisti di questa telenovela, a non dover rispondere a ordini e diktat confederali che piovono dall’alto, bensì solo e soltanto agli interessi dei fornai che si fanno sentire dal basso, non sottoscriverà nessun contratto che vada contro la volontà e le indicazioni dell’assemblea che rimane sovrana nel decidere e nell’indicare la via da seguire. Qualunque cedimento non potrebbe che essere illegittimo e ingiustificato.
EDVINO JERIAN