ECONOMIA DI GUERRA PER I PANIFICATORI ITALIANI

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INUTILE NASCONDERCELO: LA GUERRA NON E’ LONTANA MA MOLTO  VICINA.

SE ANCHE  NON PARLANO LE ARMI E’ L’ECONOMIA  CHE STA  ANDANDO IN CRISI.

SALVARE LA PANIFICAZIONE ITALIANA NON E’ UNO SLOGAN MA UNA NECESSITA’ IMPELLENTE CHE RICHIEDE RISPOSTE IMMEDIATE.

Tutti sanno che prima della caduta del Muro di Berlino il confine nord orientale italiano (Gorizia e Trieste, per intenderci)  era il simbolo stesso della guerra fredda. Un periodo che speravamo e credevamo tutti finito per sempre.

Nonostante tutto, ci sforziamo di continuare a vivere come si trattasse di qualcosa di temporaneo e provvisorio, destinato a risolversi in tempi ragionevoli permettendoci di tornare alla vita normale, ma non è così: quel confine orientale definito la cerniera tra Est e Ovest dell’Europa, il confine del mondo libero rispetto all’impero sovietico, rischia di tornare tragicamente alla ribalta con il conflitto Russo – Ucraino e riassumere quel ruolo che a parole nessuno vuole ma che la geopolitica gli sta riassegnando anche per le tensioni, mai definitivamente sopite, che attraversano i Balcani e che dal conflitto ucraino sono sicuramente nuovamente alimentate.

Anche se l’Ucraina per noi è lontana e al massimo ci sentiamo coinvolti emotivamente da quello che sta succedendo al momento dei telegiornali, basta una semplice cartina geografica per mettere in chiaro che, a partire dal nostro confine orientale siamo parecchio più vicini in linea d’aria al confine ucraino (poco più di 700 km) che non a Palermo (oltre 830 chilometri).

Dunque, possiamo vederla come vogliamo ma la realtà è che ci siamo dentro al momento e per fortuna  in termini economici, ma gli sviluppi imprevedibili che sta assumendo la vicenda ucraina non fanno certo ben sperare.

A meno di 100 chilometri da quel confine orientale c’è una centrale nucleare slovena (Krsko) obsoleta e a 5 chilometri dal centro di Trieste si trova il più grande deposito costiero di petrolio d’Europa, già oggetto a suo tempo di  attentato da parte del terrorismo palestinese di Settembre Nero.

Ma, anche a non voler considerare tutto questo, augurandoci che tutto rimanga militarmente confinato, resta il fatto che anche le sole conseguenze economiche rischiano di avere rapidamente effetti devastanti e, purtroppo, permanenti su tutte le imprese e in particolare sulle nostre.

Grano, energia elettrica e gas sono elementi fondamentali del nostro lavoro. E tutti e tre oggi sono messi enormemente a rischio. di fatto, quindi, le nostre imprese sono già in guerra. E illudersi che tutto si risolva rapidamente è del tutto fuori luogo.

Qualunque provvedimento il nostro Governo, ma anche l’Unione Europea prenda per contrastare la crisi energetica non potrà dare risultati immediati, quantomeno per quello che riguarda l’aumento dei costi. I piani di sviluppo che si sta pensando di porre in atto prevedono comunque almeno tre anni. Nel frattempo l’Italia sta tentando di trovare fornitori diversi dalla Russia ma anche se tutto andasse a buon fine in termini di quantità importata, i costi saranno comunque rilevanti. Anche la proposta di creare un mercato unico europeo dell’energia è certamente interessante, ma è anche destinata a scontrarsi (o quanto meno fare i conti) con nazioni nelle quali l’energia nucleare è da molti anni fonte economicamente conveniente (quale ad esempio la Francia, ma anche la piccola Slovenia) che difficilmente rinunceranno a entrate finanziarie significative per solidarietà con chi, come l’Italia, fin qui ha trovato più conveniente comprare piuttosto che produrre.

Per non parlare della situazione delle materie prime, avanti a tutte il grano e il mais.

L’Ucraina, storicamente definita il granano d’Europa, assieme alla Russia copre oltre il 30% del mercato mondiale. E dal mar Nero partono le navi di grano provenienti anche da altri paesi dell’Est Europa come il Kazakistan.

La guerra in atto  mette pesantemente a rischio i raccolti ma anche le semine primaverili, con effetti anche sui raccolti futuri; inoltre, con il blocco dei porti del mar Nero, anche il grano già disponibile non può partire.

Ma sono tutte le materie prime ad entrare in sofferenza, a partire da quelle necessarie a produrre fertilizzanti indispensabili per assicurare raccolti decenti.

A ciò si aggiungono primi provvedimenti drastici che i singoli Paesi stanno prendendo: vale per l’Ungheria e la Moldavia che hanno bloccato qualunque esportazione di grano e soprattutto della Cina che già da tempo sta incrementando a dismisura le proprie riserve di grano.

Quindi, inutile negarlo: ci stiamo rapidamente avviando verso un’economia di guerra nella quale i razionamenti di materie prime, gas ed energia elettrica, oggi impensabili, potrebbero diventare concreti e reali.

E, come se fossimo già in guerra, dobbiamo ragionare con freddezza e lucidità su che cosa bisogna fare non per guadagnare ma almeno per sopravvivere.

Un ragionamento che ognuno di noi deve fare, con un’analisi precisa dei propri costi e della propria organizzazione del lavoro che necessariamente dovranno essere riorientati entrambi in funzione della prosecuzione dell’attività dell’impresa.

Un ragionamento collettivo, che spetta alla Federazione, per capire quanto e come il pane sia elemento indispensabile che deve essere assicurato e garantito, e quali azioni la Federazione può e deve mettere in atto nel suo ruolo di storica rappresentante della panificazione italiana, nei confronti delle istituzioni a salvaguardia non solo delle imprese ma del pane che proprio in queste drammatiche situazioni riassume pienamente il ruolo  sociale di bene primario, ora piu’ che mai  indispensabile per la nostra gente.