Sono molti i panifici e pasticcerie che, nell’ambito della propria attività, hanno inserito il consumo immediato e/o la somministrazione.
Relativamente a tale attività, e particolarmente in questo periodo durante il quale il consumo sul posto è stato vietato, si è posto ad alcuni il problema di quale IVA applicare nel caso della vendita per asporto. La questione riguarda il fatto che mentre per la somministrazione e la consumazione sul posto l’IVA applicabile è il 10%, nel caso dell’asporto si tratta a tutti gli effetti di una vendita, ovvero una cessione di beni, nel qual caso l’IVA dovrebbe essere quella relativa di competenza del prodotto venduto.
La questione, piuttosto delicata, ha spesso avuto interpretazioni diverse.
Il tema è stato dibattuto in sede di Corte di Giustizia Europea (CURIA) tra un’azienda privata e l’autorità tributaria polacca in merito all’esito di un controllo fiscale effettuato nel 2016, riguardante l’aliquota dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) sulle operazioni di vendita di cibi e di pasti preparati per il consumo immediato in loco o da asporto, per le quali l’azienda. è assoggettata a tale imposta.
L’analisi svolta dai giudici di CURIA prende le mosse dalla Direttiva IVA COMUNITARIA
L’articolo 96 della direttiva IVA è così formulato:
«Gli Stati membri applicano un’aliquota IVA normale fissata da ciascuno Stato membro ad una percentuale della base imponibile che è identica per le cessioni di beni e per le prestazioni di servizi».
4 L’articolo 98 di tale direttiva dispone quanto segue:
«1. Gli Stati membri possono applicare una o due aliquote ridotte.
2. Le aliquote ridotte si applicano unicamente alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi delle categorie elencate nell’allegato III.
(…)
3. Quando applicano le aliquote ridotte previste al paragrafo 1 alle categorie relative a beni, gli Stati membri possono far ricorso alla nomenclatura combinata[, contenuta nell’allegato I del regolamento (CEE) n. 2658/87 del Consiglio, del 23 luglio 1987, relativo alla nomenclatura tariffaria e statistica ed alla tariffa doganale comune (GU 1987, L 256, pag. 1), come modificato dal regolamento (CE) n. 1031/2008 della Commissione, del 19 settembre 2008 (GU 2008, L 291, pag. 1),] per delimitare con precisione la categoria in questione».
5 L’allegato III di detta direttiva, intitolato «Elenco delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi che possono essere assoggettate alle aliquote ridotte di cui all’articolo 98», enumera, ai punti 1 e 12 bis:
«1) Prodotti alimentari (incluse le bevande, ad esclusione tuttavia delle bevande alcoliche) destinati al consumo umano e animale, animali vivi, sementi, piante e ingredienti normalmente destinati ad essere utilizzati nella preparazione di prodotti alimentari, prodotti normalmente utilizzati per integrare o sostituire prodotti alimentari;
(…)
12 bis) servizi di ristorazione e catering, con la possibilità di escludere la fornitura di bevande (alcoliche e/o non alcoliche)».
Nonchè sul REGOLAMENTO DI ESECUZIONE 282/2011 che dispone:
«1. I servizi di ristorazione e di catering consistono nella fornitura di cibi o bevande preparati o non preparati o di entrambi, destinati al consumo umano, accompagnata da servizi di supporto sufficienti a permetterne il consumo immediato. La fornitura di cibi o bevande o di entrambi costituisce solo una componente dell’insieme in cui i servizi prevalgono. Nel caso della ristorazione tali servizi sono prestati nei locali del prestatore, mentre nel caso del catering i servizi sono prestati in locali diversi da quelli del prestatore.
2. La fornitura di cibi o bevande preparati o non preparati o di entrambi, compreso o meno il trasporto ma senza altri servizi di supporto, non è considerata un servizio di ristorazione o di catering ai sensi del paragrafo 1».
A partire da questi elementi, sono molte e spesso complese le considerazioni che CURIA fa sulla questione, ma tra tutte vale la pena di segnalare come i giudici abbiano sottolineato
” che l’elemento predominante deve essere determinato basandosi sul punto di vista del consumatore medio e tenendo conto, nel contesto di una valutazione di insieme, dell’importanza non semplicemente quantitativa, ma anche qualitativa degli elementi della prestazione di servizi rispetto a quelli rientranti in una cessione di beni (v., in tal senso, sentenza del 10 marzo 2011, Bog e a., C‑497/09, C‑499/09, C‑501/09 e C‑502/09, EU:C:2011:135, punto 62).
E che, tale riguardo, poiché la commercializzazione di un bene è sempre accompagnata da una se pur minima prestazione di servizi come la presentazione dei prodotti negli scaffali o l’emissione di una fattura, per valutare la rilevanza della prestazione di servizi nel contesto di una transazione complessa, che comporta altresì la cessione di un bene, debbono essere presi in considerazione solamente i servizi diversi da quelli che necessariamente accompagnano la commercializzazione di un bene
In particolare, che l’operazione di ristorazione è caratterizzata da una serie di elementi e di atti, di cui la cessione di cibi è soltanto una parte e nel cui ambito i servizi sono ampiamente predominanti, e che tale operazione dev’essere pertanto considerata una «prestazione di servizi», mentre diverso è il caso di un’operazione avente ad oggetto alimenti da asportare non accompagnata da servizi volti a rendere più piacevole il consumo in loco in un ambiente adeguato.
Tuttavia, la Corte ha precisato che, quando la fornitura di cibi è accompagnata solo dalla messa a disposizione di infrastrutture rudimentali, vale a dire semplici banchi per il consumo, senza alcuna possibilità di sedersi, che consentono esclusivamente a un numero limitato di clienti il consumo in loco e all’aperto, il che presuppone solamente un intervento trascurabile da parte dell’uomo, detti elementi costituiscono solo prestazioni accessorie minime che non sono tali da modificare il carattere predominante della prestazione principale, ossia quello di una cessione di beni.
Specifica altresì che la fornitura di alimenti preparati presupponga la loro cottura o il loro riscaldamento, il che costituisce una prestazione di servizi, deve essere preso in considerazione nell’ambito della valutazione globale dell’operazione di cui trattasi ai fini della sua qualificazione come cessione di beni o come prestazione di servizi. Tuttavia, se la preparazione del prodotto finale caldo si limita, essenzialmente, ad azioni sommarie e standardizzate che quasi sempre non avvengono su ordinazione di un particolare cliente, ma in modo costante o regolare, in funzione della domanda in generale prevedibile, essa non costituisce l’elemento preponderante dell’operazione di cui trattasi e non può, di per sé, conferire il carattere di prestazione di servizi a siffatta operazione.
La Corte quindi ritiene di dover tener conto di elementi quali la presenza di personale, l’esistenza di un servizio consistente, tra l’altro, nella trasmissione delle ordinazioni alla cucina, nella successiva presentazione dei piatti e nel relativo servizio al tavolo ai clienti, l’esistenza di locali chiusi e climatizzati specificamente dedicati al consumo degli alimenti, o ancora la presenza di guardaroba e toilette nonché la fornitura di stoviglie, mobili e posate
ma anche del fatto che nel caso delle prestazioni complesse, l’elemento predominante di un’operazione deve essere determinato basandosi sul punto di vista del consumatore.
Orbene, se quest’ultimo sceglie di non beneficiare dei mezzi materiali e umani messi a sua disposizione dal soggetto passivo, tali mezzi non sono determinanti per detto consumatore. Pertanto, in tale fattispecie, occorre considerare che nessun servizio di supporto accompagna la fornitura di cibi o bevande e che l’operazione di cui trattasi deve essere qualificata come cessione di beni.